Affidamento condiviso: se il genitore vive in un’altra città

L'affidamento condiviso prevede che i genitori separati si occupino insieme dei figli. Cosa succede quando ex marito ed ex moglie vivono lontani e il genitore collocatario non abita nella stessa città

AFFIDAMENTO CONDIVISO GENITORE VIVE IN UN’ALTRA CITTA’ – Laffidamento condiviso presuppone che i genitori si prendano cura dei figli in eguale misura. E’ possibile però che mamme o papà separati non risiedano nella stessa città, questo non impedisce infatti il regime dell’affidamento condiviso. Esistono delle indicazioni per gestire questo tipo di situazioni e non danneggiare i figli di separati.

Nell’assicurare il corretto mantenimento dei rapporti con i figli, i giudici sono chiamati a prendere in considerazione le distanze geografiche tra i genitori nel caso in cui uno di essi, dopo la separazione, decida di trasferirsi altrove.

A questo proposito è assodato che l’oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori non preclude il regime di affidamento condiviso a meno che la lontananza si traduca in un comportamento che escluda il genitore dal pari esercizio della potestà genitoriale, così che l’affidamento condiviso non sia più la soluzione ottimale per l’interesse del figlio.


 

Pertanto, sulla base del principio espresso dalla Cassazione per cui il trasferimento di residenza di uno dei due genitori in luogo lontano non è di per sé indice di “cattiva genitorialità”, il vero problema da affrontare sarà quello di trovare le modalità e le tempistiche giuste per garantire il mantenimento del rapporto genitore-figlio nel pieno rispetto della bigenitorialità.

Il compito del Giudice, quindi, sarà quello di ridefinire in concreto i parametri dell’affidamento e cioè i tempi e le modalità della frequentazione dei figli da parte del genitore più lontano, applicando soluzioni che vadano oltre lo standard dei weekend alternati e riescano a garantire in ogni caso l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi.

IL DIRITTO DI VISITA ONLINE

Da qualche anno sta prendendo piede la tendenza ad alimentare la relazione tra moderni sistemi di comunicazione e  diritto di visita del genitore non collocatario, con lo scopo di rendere il diritto alla visita più semplice anche quando le distanze geografiche creino seri ostacoli alla frequentazione tra genitore e figlio.

Più di un Tribunale, quindi, ha riconosciuto il “diritto di visita online sul web” regolando il regime delle visite in modo da consentire al genitore distante di “frequentare” via webcam i propri figli in modo da attenuare gli effetti negativi della lontananza.

Nell’assicurare il corretto mantenimento dei rapporti con i figli, i giudici sono chiamati a contemperare le distanze geografiche tra i genitori nel caso in cui uno di essi, dopo la separazione, decida di trasferirsi altrove.

Va sottolineato che un simile strumento di comunicazione non potrà mai essere considerato sostitutivo della relazione fisica genitore-figlio, ma, a detta di molti, potrà garantire anche in futuro di mitigare il senso di lontananza che a lungo andare potrebbe rovinare il rapporto genitoriale.

OSPITARE L’EX CONIUGE PER DORMIRE

Uno dei presupposti per poter chiedere la separazione è il venir meno della coabitazione da parte dei coniugi presso la casa coniugale. In molti casi, tuttavia, nell’ottica di ricorrere al procedimento consensuale sono in molti a concordare un’uscita da casa graduale autorizzando, ad esempio, il consorte (di solito il marito) a soggiornare per qualche mese presso la dimora familiare, in modo da consentirgli di trovare una nuova abitazione.

Entro questi limiti si rientra nell’assoluta normalità. I problemi possono nascere, invece, se uno dei due coniugi si opponga, trascorsi almeno tre anni, alla richiesta dell’altro di divorziare adducendo una presunta riconciliazione sulla base del ripristino della coabitazione sotto il medesimo tetto. Infatti il presupposto per il divorzio è che non ci siano state interruzioni della separazione, come nel caso della riconciliazione.

Sul punto la Cassazione ha precisato che il ripristino della convivenza potrebbe essere una prova di  riconciliazione quindi spetterà al coniuge interessato negarla dimostrando che il fatto di aver consentito all’altro di dormire sotto lo stesso tetto non significava una reale ripresa della convivenza, ma derivava da altre necessità.

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